The Song Remains the Same è un film-concerto ripreso durante l’evento di tre giorni del luglio 1973 al Madison Square Garden di New York e addizionato, successivamente, di brevi filmati simil onirici riguardanti i quattro membri della band (filmati necessari a riempire alcuni buchi delle riprese stesse). Riproposto al cinema in soli tre giorni di marzo di questo 2024 alla modica cifra di 13 euro (però ti “regalano” una bella locandina per oliare la cosa). Sul concerto non ci sarebbe nulla da dire: una roba epica, musica vera, musicisti veri, pubblico vero. Insomma, tutto quello che ormai non siamo più abituati a vedere e sentire.
In 137 minuti di psichedelia si ha la fortuna di riascoltare live la scaletta composta da:
Rock and Roll
Black Dog
Since I’ve Been Loving You
No Quarter
The Song Remains the Same
The Rain Song
Dazed and Confused
Stairway to Heaven
Moby Dick
Heartbreaker
Whole Lotta Love
È subito chiaro che il rapporto tra il numero di pezzi e il minutaggio sia particolare e questo non certo per le riprese inserite extra concerto. “Dazed and Confused” raggiunge i 26 minuti di estensione, “Wholla Lotta Love” i 15, per non parlare del fantastico e infinito assolo di batteria a mani nude di Bonham su “Moby Dick”. Storia del rock, storia della musica.
Un palco minuscolo, un pubblico enorme. Cose alle quali non siamo più abituati, appunto, cose che il pubblico di oggi, assuefatto di stronzate, non è più in grado di apprezzare. La Musica protagonista – non le scenografie o altre cazzate ormai necessarie per l’intrattenimento del vuoto cosmico dei cervelli – solo la Musica. Vera, pura, semplice e super complessa allo stesso tempo. Arte allo stato puro. Un film, un concerto, che andrebbe fatto vedere nelle scuole, si sa mai che ci sia un piccolo Jimmy Page da qualche parte che stia cercando un’ispirazione, una faro, nel buio che circonda la produzione contemporanea.
Quando mi capita di assistere a eventi come questo non posso fare altro che arrabbiarmi, per le occasioni perse, per il nulla moderno, in campo musicale, ma non solo. Sarà colpa delle produzioni, sarà colpa del pubblico, di entrambi, non lo so. Siamo ormai così lontani da come dovrebbero essere le cose belle, da rendere frustrante anche solo pensarci. Hai mai visto Mick Jagger interrompere un’esibizione perché «Oh, mio Dio, non mi arriva bene benissimo l’audio in cuffia»? Riesci anche solo a immaginare un Freddie Mercury con l’autotune? E Bon Scott che ti spiega in un reel come dispone i calzini nell’armadio? Dove cazzo siamo finiti? A guardare pseudo artisti “ribelli” che si leccano in modo rigorosamente politicamente corretto?
Molta fantascienza racconta di apici tecnologici raggiunti nel passato e poi mai più superati, a causa di un imbarbarimento dovuto a un olocausto nucleare o a un evento catastrofico. A noi questo è successo nell’arte, a causa di un olocausto culturale. Dobbiamo avere la roba pronta, tutta uguale e preconfezionata così che non faccia sforzare troppo i nostri stanchi neuroni. Serie invece di film, canzoni da tre minuti e mezzo, talent che inseriscono posteriormente gli ingredienti nei presunti artisti/capponi che si esibiranno di fronte ad altrettanti fan ripieni. Se no ci stanchiamo, se no siamo costretti a pensare.
A dispetto del titolo – mi spiace contraddire Plant e Page – la canzone, la musica, è parecchio cambiata. E così succede che l’unico modo per assistere a qualcosa di realmente esaltante sia tornare nel 1973.
Cazzo, che concerto.